Presentazioni non ne faccio. Se siete arrivati su questa
pagina vuol dire che più o meno sapete chi sono, perciò credo che
non ci sia bisogno di altre parole. Sono un incostante, quindi
probabilmente il blog non reggerà, ma per ora parto con l'idea di
impostarlo secondo alcune linee-guida che mi sono autoimposto, le
quali probabilmente domani mattina mi appariranno totalmente prive di
senso e finiranno nel cesso con la velocità di un assorbente usato.
Non so se ho già detto che sono incostante. In verità questo
aspetto della mia personalità mi piace. A parte il fatto che a volte
lo detesto.
Il blog prende il nome da un tizio che ho conosciuto qui a Dublino (vivo al momento in Irlanda): Ray è un ex-hippie sui settant'anni, cliente fisso del pub all'angolo della strada, con un figlio nell'esercito svedese e una figlia in Spagna. Ha viaggiato in lungo e in largo per il mondo, ha lavorato in postacci, si è fatto di droghe che probabilmente non esistono più. Porta sempre il giubbotto di pelle e un cappello da baseball, ha i capelli lunghi fino a metà schiena raccolti in una coda di cavallo, beve abbastanza da far salire il tasso alcolico del quartiere sopra i livelli di guardia e fuma come un senza Dio. Ray legge Pennacchi e adora Fellini e Kurosawa, ascolta gli Hawkwind e i Manic Street Preachers, ha una casa piena di libri e vecchi LP e non ama la religione. Gli piace parlare, così siamo diventati amici. Fino alla quinta pinta di Beamish è un formidabile oratore, poi inizia a dimenticarsi le cose e tende a ripetersi, ma mi piace lo stesso. Ray è al momento una delle poche persone qui in Irlanda con cui posso discutere di libri, cinema e musica, così dedico a lui questo blog. Probabilmente non lo saprà mai. Ciao Ray! Ci vediamo dopo.
Pronti, via. Qui non ci si diverte, meglio che lo
sappiate. Qui si parla di libri, scrittura, altri libri, serie TV,
musica da sfigati, di un po' di cose attinenti alla vita reale e poi
ancora di libri e qualche film meritevole tra la feccia che infesta i
cinema. L'ottanta percento delle attività che mi danno piacere non
contemplano la presenza di altre persone, quindi se cercate resoconti
di serate mondane o racconti di viaggi avventurosi avete sbagliato pagina. Questo blog è gestito da uno la cui
massima idea di vita sociale è sedersi a un pub con un libro
sperando che nessuno gli rompa i coglioni, eccezion fatta per Ray. Lo scopo del suddetto blog:
condividere ciò che mi piace, senza la pretesa di essere un'autorità
in nessuna delle materie che tratterò, ben consapevole che là fuori
esistono persone ben più erudite di me. Ci saranno delle falle in
quello che scriverò, ci saranno forse degli errori, la precisione e
l'indiscutibilità delle informazioni che condividerò potrà
oscillare, a seconda del mio mestruo, dal trattato letterario a una
conversazione da bar tra avventori al dodicesimo Amaro del Capo.
Qualcosa di interessante ce la potrete trovare. Forse. Sempre che
questo post veda la luce, ché a scriverlo ci sto mettendo una
settimana.
Il primo articolo lo voglio dedicare alle origini della
letteratura weird. Ora, non è un inizio molto originale, sul weird
ne sono state scritte di parole, ma io do per scontato che ci sia
qualcuno che ancora non sa nulla sull'argomento e scrivo per loro. E
poi il blog è mio e decido io, e basta. Ho già pronto un post sul
teatro d'avanguardia turco di fine '900, ma lo tengo in serbo per
quando vorrò raggiungere il milione di visite.
Quindi: cos'è il weird? Difficile dirlo. Non è horror
puro, non è fantascienza, non è fantastico in senso stretto, ma
combina gli elementi di tutti e tre questi generi unendoli spesso
alla dedective story e, talvolta, a generi più specifici come il
western o il racconto d'avventura. Nasce a cavallo tra la fine del
XIX secolo e l'inizio del XX, grazie ad autori come il sempre troppo
poco apprezzato Lord Dunsany, Lovecraft, Kipling e Bierce, in america
diventa molto popolare grazie alla rivista Weird Tales che a
partire dal 1923 pubblica sulle sue pagine racconti di giovani e
talentuosi scrittori come lo stesso Lovecraft, Robert E. Howard, Ray
Bradbury e molti altri. La varietà degli argomenti è una ventata
d'aria fresca che rinvigorisce il genere fantastico: abbandonati i
castelli infestati e le vendette dall'oltretomba di cui il gotico
europeo aveva riempito l'800, il weird offre al lettore una
vastissima gamma di situazioni e scenari, ponendo le basi per il
successo della science-fiction, dell'horror moderno e del fantastico
come lo intendiamo oggi. Senza Weird Tales, ragazzi, oggi
leggeremmo ancora romanzi strutturati sulla falsariga di Dracula e Il Monaco (ottimi, comunque, ma senza
dubbio datati). Senza Weird Tales probabilmente quel panzone di
George R. R. Martin si sarebbe trovato un lavoro dalle nove alle
cinque, e il mondo sarebbe un posto molto più brutto.
Quindi: GRAZIE, WEIRD TALES!
Siccome sono un tipo alternativo vorrei iniziare a
parlarvi dei nomi di spicco del weird citando Ippanzio Patriarchi,
misconosciuto autore siculo che nel 1921 pubblicò un manoscritto dal
titolo Lu Mostru de la Cava, letto da dodici persone, tutte con
il suo stesso cognome, metà delle quali si limitò a osservare le
figure dallo stesso Patriarchi vergate, essendo affette da una forma
di disagio sociale al tempo molto comune conosciuta come “analfabetismo”.
Purtroppo non posso disquisire del Patriarchi, sebbene farebbe tanto
figo, e devo invece parlare, in maniera più scontata, di H.P.
Lovecraft, perché una dissertazione sul weird non può non prendere
le mosse da lui.
Partiamo da Lovecraft, quindi. Nasce a Providence nel
1890, muore a Providence nel 1937. La sua vita è più o meno
interessante come le istruzioni per l'uso sulle scatole dei
medicinali, l'uomo è incasinato di brutto e trova sollievo solo e
soltanto nella scrittura, alla quale si approccia con una passione e
un'umiltà che il novantacinque percento degli scrittori d'oggi dovrebbero seriamente
cercare di coltivare tra un talk show e un servizio sui giornali di
gossip. A parte aver letto l'intera bibliografia di Lovecraft, ho avuto anche la fortuna di poter leggere alcune delle lettere che egli inviava al suo mentore Lord Dunsany e all'amico
Alfred Galpin: in esse traspare molto della sua personalità, ed è
probabilmente qui, piuttosto che nella sua biografia, che va
ricercato l'uomo. L'idea che mi sono fatto è che Lovecraft non fosse
del tutto cosciente dell'immane apporto innovativo che stava dando al
genere fantastico, si riteneva probabilmente uno scrittore normale ed
era molto critico verso ciò che scriveva. Se avete voglia di
approfondire la sua attività epistolare ci sono molti volumi che
fanno al caso vostro: il mio consiglio è cercare qualsiasi cosa di
S.T. Joshi, considerato una delle massime autorità in campo
lovecraftiano.
Lovecraft viene sempre ritratto in quella posa triste col gatto in braccio e gli occhi da pazzo. Questo disegno invece è più bello:
Ma ora bisogna parlare del Lovecraft scrittore. Il
ragazzo si fa le ossa pubblicando su fogliacci come The Vagrant
e The United Amateur, fino a quando nel 1923 arriva su Weird Tales con The Horror at Martin's Beach. Non è il suo
migliore racconto, e non potrebbe essere altrimenti in quanto il
Nostro è ancora alla ricerca di uno stile personale, siamo ben lungi
dalle ambientazioni e dalle tematiche che di lì a qualche lustro lo
consacreranno come maestro della paura. Tre anni dopo, però, un
altro racconto su Weird Tales segna la strada: The Outsider
è una piccola gemma con finale a capovolgimento della prospettiva,
capolavoro di stile, tecnica e atmosfera che ancor oggi mi piace
rileggere per ricordarmi come si scrive. Voce narrante in prima
persona, per calare il lettore nella storia, un senso di solitudine
quasi soffocante e una conclusione che getta le fondamenta per quella
fortezza affacciata sull'Ignoto che Lovecraft costruirà racconto
dopo racconto, senza mai deviare dal percorso prestabilito. Inutile
dire che chi ha letto il pezzo vi avrà trovato molto di
autobiografico: The Outsider, tra le altre cose, è anche una
delle confessioni più esplicite dell'uomo Lovecraft affidate alla
penna del Lovecraft scrittore.
Passano gli anni e Lovecraft diventa un mostro. Crea
universi, miti, pantheon di divinità abominevoli, costruisce una
geografia del terrore che va dal Polo Sud (At the Mountains of Madness) alle sabbie dell'Egitto (Under the Pyramids), dagli
abissi marini (“The Call of Cthulhu”) alle profondità delle
miniere (The Transition of Juan Romero). Inventa il più famoso
libro inesistente della storia, il Necronomicon, e lo popola di
maledizioni e profezie infauste che annunciano la venuta di demoni
distruttori e viaggiatori interstellari pronti a fagocitare il mondo.
Filo conduttore di tutte queste storie è sempre lo stesso:
l'incommensurabile, schiacciante impotenza degli esseri umani al
cospetto di forze talmente immense da non accorgersi nemmeno della
nostra esistenza, entità che si lasciano combattere quasi per noia,
consapevoli di non poter essere sconfitte. È
qui che si pone l'accento su una delle più grandi differenze tra il
gotico ottocentesco e il weird lovecraftiano: i mostri
classici possono essere affrontati e sconfitti, mentre non c'è
partita contro le entità dell'Altrove. I fantasmi possono essere
scacciati, i vampiri uccisi con un paletto nel cuore, perfino la
creatura del dottor Frankenstein ha i suoi punti deboli. Si tratta di
entità fondamentalmente derivate dall'uomo, aberrazioni che
rispecchiano il nostro subconscio e simboleggiano la lotta della
nostra parte “buona” contro quella deviata e oscura che alberga
in noi. Cos'è Dracula, se non l'emblema delle nostre passioni più
abbiette e animalesche? Cos'è il mostro di Frankenstein se non la
metafora del tentativo dell'uomo di ricreare se stesso, sostituendosi
a Dio? Il gotico ci mostra la lotta dell'uomo contro un ultraterreno
relativamente “vicino”, in cui possiamo riconoscere noi stessi e
comprendere le tematiche che gli autori mascherano dietro le storie.
Il gotico parla della battaglia dell'uomo contro l'uomo, battaglia
che può essere vinta da uomini giusti e retti, uomini che sfidano le
tenebre e tornano vincitori. In Lovecraft non c'è nulla di questo. I
suoi protagonisti sono già condannati, i loro tentativi di sottrarsi
al destino che li attende appaiono tanto drammatici quanto patetici.
La maggior parte delle volte, sconfitti, si limitano descrivere la
catastrofe che progressivamente li schiaccia, sopraffatti
dall'indicibile immensità di ciò che hanno avuto la sfortuna di
incontrare. Nyarlathotep , Cthulhu, i Grandi Antichi e
tutte le altre entità create da Lovecraft non hanno nulla di umano:
anzi, sono l'esatta negazione dell'umanità, qualcosa di talmente
lontano da noi da risultare impossibile da comprendere. Lovecraft
aveva capito una cosa talmente semplice da apparire ovvia: il
sentimento più antico e istintivo dell'uomo è la paura. E la paura
più grande è quella dell'ignoto.
Terminerò questo articolo citando alcune storie di
Lovecraft che a mio parere hanno rivoluzionato il modo di intendere
alcuni generi fantastici, e a allo stesso tempo hanno posto le basi
per lo sviluppo futuro degli stessi. Si tratta dei miei racconti
preferiti, ma forse anche da un punto di vista oggettivo possono
essere annoverati tra i suoi migliori. Ne citerò solo tre, per amore
di brevità. Sappiate che quelli meritevoli di essere menzionati
sarebbero più del triplo.
The Dream in the Witch House (1933)
È uno dei racconti
più “classici” di Lovecraft, un horror. Riesce comunque a
gettare uno sguardo nuovo sul genere, grazie alla forte componente
onirica e al senso di condanna in esso insito, assente nei lavori del
secolo precedente. Non si scappa dalla casa della strega, sonno e
veglia sono due facce della stessa terribile medaglia e la fine non
può essere che tremenda. Aggiungete che in questa storia compare una
delle creature più viscide, disgustose e maligne di tutta la
letteratura del '900, e il gioco è fatto: Brown Jenkin, il ratto con
il volto umano che accompagna la strega, è qualcosa che non si
dimentica. Avevo sedici anni quando lessi per la prima volta questo
racconto. Ora ne ho troppi, ma le sensazioni che mi provoca sono
sempre le stesse, e Brown Jenkin, che nella storia non dice nulla di
coerente, è ancora lì a squittire le sue maledizioni con la sua
vocina da demonio.
The Shadow over
Innsmouth (1936)
Un capolavoro. Qui
il racconto del terrore si fonde con la detective story e le
tematiche più care a Lovecraft, quelle delle stirpi non-umane che
abitano in segreto la Terra. Questo lungo racconto è la naturale
evoluzione di Dagon, datato 1919 e a mio parere troppo acerbo.
Se Dagon era un primo sguardo sulla razza di esseri metà pesce
e metà anfibio che da tempo immemore si stabilirono nel nostro
mondo, The Shadow over Innsmouth ci mostra cosa è successo
millenni dopo, quando il sangue di quelle creature si è mescolato a
quello degli abitanti di una cittadina del Massachussets attraverso
generazioni di accoppiamenti contro natura. Anche qui, dietro
l'investigazione che accompagna la storia, c'è il sempre presente
senso di ineluttabilità del proprio destino: il protagonista è già
condannato prima di mettere piede a Innsmouth, quello che all'inizio
è un viaggio di piacere sulle orme dei luoghi cari alla sua famiglia
si rivela essere il richiamo di qualcosa che gli abita dentro e lo
lega, senza possibilità di salvezza, alla cittadina. L'ultima scena,
in cui figure deformi e bestiali si stagliano contro il cielo
notturno illuminate dalla luna, è da applausi. Giuseppe Lippi,
massimo studioso di Lovecraft in Italia, ha definito questo racconto
il punto più alto della carriera dello scrittore americano.
The Colour out of
Space (1927)
Il mio preferito in
assoluto, ancor oggi insuperabile mix di horror e fantascienza. In
questo racconto Lovecraft somministra la tensione e l'orrore con il
contagocce, guidando il lettore in una progressiva discesa fino alle
viscere di una morte che arriva da oltre le stelle, sulle ali da
insetto dei Grandi Antichi. Ciò che davvero risalta in questo lavoro
è l'assoluto senso di smarrimento degli uomini di fronte a qualcosa
che li uccide lentamente e che non riescono assolutamente a spiegare,
la resa della ragione al cospetto di forze tanto schiaccianti quanto
invisibili. Se leggete questo racconto vi ritroverete, verso la fine,
davanti alla porta di una soffitta. Aprendola insieme al protagonista
e gettando uno sguardo a ciò che c'è dall'altra parte capirete
cos'è davvero l'orrore così come lo intendeva Lovecraft, e un
brivido vi percorrerà la schiena.
Bene, per ora è tutto. Ci sarebbe ancora tanto da scrivere su Lovecraft, ma questo articolo non pretende di essere un vademecum in materia, piuttosto un'introduzione allo scrittore e uno sprone a conoscerlo per chi non ha mai letto nulla di suo. Del weird tornerò a parlare più in là, citando altri scrittori e lavori meritevoli, vecchi e nuovi. Buona domenica e buon proseguimento. Magari ci ritroviamo qui la prossima settimana.
Well done, Brother-oh! :)
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